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La dura vita dell’euro-rifugiato

Francisco Zamora è arrivato nel 2009 a Bergen con 225 euro in tasca.EL PAÍS MADRID

Norvegia – Francisco Zamora è arrivato nel 2009 a Bergen con 225 euro in tasca.


In fuga dalla recessione, centinaia di spagnoli emigrano in Scandinavia in cerca di lavoro, ma la maggior parte di loro trova solo disoccupazione, freddo e indifferenza.   

“Da tempo non avevo più diritto ad alcun sussidio. I miei genitori, ormai in pensione, pagavano da mesi i 540 euro della mia ipoteca. Non riuscivo a trovare una soluzione, e le prospettive erano pessime. Ricordo che mi trovavo in un bar, e in tv trasmettevano Españoles en el mundo. Un uomo che viveva nel nord della Norvegia diceva di gudagnare quattromila euro al mese, e sembrava felice. E così mi sono detto: Paco, è lì che devi andare!”

Francisco Zamora, 44 anni, di Alcantarilla (Murcia), è un tipo tranquillo. Porta una sciarpa pesante arrotolata tre volte attorno al collo per combattere il freddo pungente. È perito elettronico e ha lavorato nel campo dell’edilizia e nelle fabbriche. Un tempo guadagnava fino a tremila euro al mese, ma tre anni fa la situazione è cambiata radicalmente. Francisco è solo uno delle centinaia di spagnoli che hanno deciso di emigrare dalla Spagna in crisi puntando verso uno dei paesi più ricchi del mondo. Pensavano di aver fatto la scelta giusta, ma una volta arrivati in Norvegia il loro sogno si è infranto. Le autorità non vogliono saperne di loro. Alcuni hanno speso tutti i risparmi e ora si trovano in grandi difficoltà. C’è anche chi dorme per strada.

La scorsa estate Paco ha chiesto nuovamente un prestito ai suoi genitori e ha comprato un biglietto di sola andata per Bergen. Era la prima volta che usciva dalla Spagna, e nel portafoglio aveva 225 euro. Durante la prima settimana è andato in giro per una delle città più pittoresche al mondo. “Avevo un piccolo zaino che lasciavo nel deposito della stazione. Pagavo cinque corone (0,75 euro) per usare il bagno e lavarmi. Un giorno ho incontrato un altro spagnolo che mi ha detto che c’era un posto dove potevo andare per mangiare e scaldarmi un po'”.

La Fondazione Robin Hood occupa due piani di un edificio di legno al centro di Bergen. È stata inaugurata nel 2003 “con l’idea di offrire un rifugio alle famiglie norvegesi meno abbienti che non possono pagare quattro euro per un caffè in un bar”, spiega  Wenche Berg Husebo, presidente della fondazione (che gode di un finanziamento pubblico di 270mila euro).

È mercoledì mattina. Nelle stanze della fondazione la lingua dominante è lo spagnolo. Ogni giorno passano di qui tra le 60 e le 100 persone. Secondo il direttore Marcos Amano, la metà sono spagnoli. “Prima venivano norvegesi, polacchi e famiglie di rifugiati politici. Da marzo hanno cominciato a venire gli spagnoli”, spiega Husebo. “Da allora sono arrivati in 250. All’inizio erano uomini di tutte le età, ma in seguito sono arrivati soprattutto trentenni. La maggioranza non trova lavoro perché non parla né inglese né norvegese”.

Grazie al petrolio, all’invidiabile stato sociale e soprattutto ai salari elevati e alla disoccupazione bassissima (3 per cento), la Norvegia è diventata la meta ideale di un nuovo prototipo di emigrante, fuggito dalla Spagna a causa della recessione e della diminuzione progressiva dei salari. I giornali norvegesi li hanno ribattezzati i “rifugiati dell’euro”.

La prosperità norvegese e i programmi televisivi come Españoles en el mundo (citato da molti come elemento fondamentale nella scelta del paese, seguito da 3,5 e 2,8 milioni di persone nelle ultime puntate dedicate alla Norvegia) sono stati una specie di canto delle sirene per un numero sempre maggiore di spagnoli. Gli iscritti nelle liste dell’ambasciata di Spagna sono passati da 358 nel 2010 a 513 nel 2011, senza contare che molti preferiscono non registrarsi. Una volta arrivati in Norvegia, gli spagnoli sono andati a sbattere contro una barriera insormontabile formata da tre elementi: il freddo polare, la lingua e i prezzi esorbitanti (affittare una camera costa 600 euro, un cartone di latte 2 euro).

Anche se la Norvegia non è membro dell’Unione europea, fa comunque parte dello spazio di libera circolazione Schengen, e dunque i cittadini Ue sono liberi di trasferirvisi. Tuttavia il paese non possiede le infrastrutture pubbliche per chi arriva con una valigia e nient’altro. “Il governo non offre alloggio, denaro o altre forma di sostegno. È tutto sulle spalle della Caritas, della Croce rossa e dell’Esercito della salvezza”, spiega Bernt Gulbrandsen, di Caritas Oslo.

Non c’è voluto molto tempo prima che i mezzi d’informazione locali si interessassero alle storie dei nuovi immigrati. In un paese popolato da appena 5 milioni di persone, la notizia ha avuto un forte impatto. A Bergen (260mila abitanti), una città prospera dove quasi non ci sono barboni, i giornali e le emittenti televisive hanno dedicato diverse inchieste agli spagnoli. “Sono scappati dalla crisi in Spagna, ma la vita a Bergen non è come immaginavano”; “Molti rifugiati vivono nella povertà a Bergen”, recitano alcuni articoli.

“Non avevo mai visto una situazione così angosciante in Norvegia”, racconta Astrid Dalehaug Norheim, tra i giornalisti che si sono occupati della vicenda per il quotidiano Vårt Land. “Mi ricorda un viaggio che ho fatto a Mosca durante la crisi della fine degli anni novanta, quando i contadini cominciavano a emigrare in città in cerca di lavoro e finivano ad ammassarsi nei rifugi”.

La testimonianza di Tuna, della Croce rossa di Bergen, mostra in che modo alcuni norvegesi stanno vivendo la situazione. “Prima venivano soprattutto polacchi, ma all’improvviso è arrivata l’ondata di spagnoli. Non hanno un lavoro né cibo, e chiedono aiuto. Ma noi abbiamo risorse per soccorrere i rifugiati politici, non per chi viene qui di sua spontanea volontà”.